Enrico Mentana ricorda commosso Andrea Purgatori, scomparso oggi all'età di 70 anni: "Andrea Purgatori piaceva tanto, a tanti. Perché era credibile, perché era autorevole.
Sì, certo, lo aiutavano quell’espressione intensa ma non seria, quella voce che sembrava impostata, ma era proprio la sua, calda e coinvolgente; quella postura autorevole ma non impettita. Questa però era solo la resa formale a cui – per la verità - Andrea era interessato il giusto. Perché non era un personaggio. Era un cronista diventato narratore di razza, con un patrimonio che i suoi epigoni non potranno avere. Perché se c'è qualcosa di non copiabile, di non replicabile in questo mestiere, è proprio l'esperienza, che si fa autorevolezza.
La sua e quella di una leva di giornalisti che ancora giovani si erano trovati a seguire giorno dopo giorno - tra luoghi del delitto, questure e incontri con protagonisti o informatori – quel quinquennio nero della nostra storia, dal rapimento di Aldo Moro nel 1978 fino alla scomparsa di Emanuela Orlandi nel 1983, passando per le stragi di Ustica e della stazione di Bologna, distanti solo 5 settimane una dall’altra in quella cupa estate del 1980. E poi l'anno successivo l'attentato al Papa in Piazza San Pietro, l'esplosione dello scandalo P2, la morte di Calvi sotto il ponte dei Frati Neri a Londra.
Il cuore dei misteri italiani sta ancora lì, tra l'agguato di via Fani e la sparizione di quella adolescente che viveva in Vaticano, e una serie di storie tragiche e gravissime destinate a generare dubbi e sospetti, oscurità e misteri, e una voglia civile di verità. Il grumo di quelle vicende è stata l'arena di Andrea, prima dalle colonne del Corriere della Sera, poi qui a La 7 con Atlantide. Mai saccente, mai così assertivo da rischiare di orientare il lettore o il telespettatore verso una tesi già confezionata, ma anzi cultore del confronto tra ipotesi diverse, per spirito democratico, per esercizio del dubbio giornalistico, ma anche per passione dell'intreccio dall'esito non scontato.
Passione che del resto esercitò anche nell'evoluzione cinematografica delle sue prime grandi inchieste, come sceneggiatore di due film di Marco Risi, Il muro di gomma su Ustica e Fortapàsc sul delitto Siani.
Sapeva raccontare, come un cantastorie Andrea, quale che fosse la sua tribuna: quella della carta stampata o del teleschermo, in cui la ricerca dell'attenzione di chi ti segue va immaginata, provocata, con quel suo stile piano, chiaro e senza parentetetiche. O quella della sigaretta fuori dallo studio, o della tavolata tra vecchi amici. Ecco, era sempre lo stesso Purgatori, allergico ai trombonismi e alle gerarchie formali, pronto allo sghignazzo e curioso però di ogni storia, cronista sempre, civile sempre, fino alla fine. E rispettato. Perfino gli habitué del post di commiato con foto che li ritrae insieme allo scomparso stavolta si sono astenuti, immaginando il suo "Ma che fai? E spostati"."