Offerti a Fabrizio Corona file top secret su Messina Denaro: arrestati maresciallo e politico

Il piano era vendere al miglior offerente una serie di file top secret sulla cattura di Matteo Messina Denaro. Un progetto messo su da un carabiniere della Compagnia di Mazara del Vallo, Luigi Pirollo, e da un politico trapanese, il consigliere comunale Giorgio Randazzo, finiti ai domiciliari. L’indagine è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido.

 

Due arresti

 

I due indagati avevano pianificato di guadagnare decine di migliaia di euro con la vendita dei file e si erano rivolti a Fabrizio Corona. Il fotografo, la cui casa è stata perquisita in serata, li aveva mandati da un amico, Moreno Pisto, direttore del quotidiano online Mow.

 

Gli inquirenti mesi aveva intercettato proprio Fabrizio Corona che, a febbraio, era venuto in possesso di una serie di chat audio tra Messina Denaro e alcune pazienti da lui conosciute in clinica durante la chemioterapia quando, ancora ricercato, usava l’identità del geometra Andrea Bonafede. 

 

Il falso scoop

 

Nel corso di una conversazione registrata, il fotografo aveva fatto riferimento a uno “scoop pazzesco” di cui era in possesso un consigliere comunale. Pisto, insieme a Corona, aveva incontrato il politico che gli aveva proposto l’affare e con uno stratagemma era riuscito a copiare tutti i file messi in vendita dal consigliere. Compresa la delicatezza del materiale, il giornalista si era rivolto a un collega e poi alla polizia raccontando tutta la storia. A quel punto l’inchiesta è entrata nel vivo e, attraverso indagini informatiche, è venuto fuori che a rubare i documenti copiati dal direttore di Mow era stato il militare che aveva lasciato tracce del suo accesso al sistema dell’Arma e inoltre che il carabiniere aveva stretti rapporti col consigliere comunale di Mazara.

 

È venuto fuori che tra i 768 file riservati sulla cattura di Messina Denaro «rubati» dal carabiniere c'era anche un documento del Ros con la programmazione degli obiettivi da perquisire dopo l’arresto del capomafia: immobili e proprietà intestati ad Andrea Bonafede. Per una svista, però, nella versione del documento trafugata dal militare e offerta al re dei paparazzi non era stato indicato il covo di vicolo San Vito di Campobello di Mazara, in cui il padrino — ma i carabinieri ancora non lo sapevano — aveva vissuto negli ultimi periodi della latitanza. Nel piano di Pirollo e del suo complice l’assenza del covo nella documentazione sarebbe dovuta diventare un giallo con al centro il presunto disegno degli investigatori di ritardare la perquisizione ufficiale della casa e occultare materiale scottante.
 

La bufala ha avuto vita breve e il progetto dei due arrestati è stato sventato dalla Dda di Palermo e dalla stessa Arma.