Micaela Farrocco torna a Prato per raccontare il sistema di sfruttamento in alcune delle oltre 4.000 aziende cinesi dell’abbigliamento nel territorio.
La settimana scorsa abbiamo documentato in quali condizioni si lavorava in alcune ditte cinesi nel più grande distretto tessile d’Europa. Ma quanto è diffuso il sistema di sfruttamento all’interno delle oltre 4000 aziende cinesi? Abbiamo deciso di mettere una telecamera nascosta addosso a due ragazzi pachistani. Uno dei due ha lavorato in nero in un pronto moda per una settimana. “Adesso non voglio più lavorare 13 ore, anche 10 ore va bene?”, chiede il giovane operaio. “No, minimo 12 ore. Non c’è un giorno di festa, non c’è domenica, capito?”.
Sulla questione sfruttamento, il sindaco di Prato Matteo Biffoni replica: “Più di fare 15 mila controlli con la Polizia municipale non so come fare. Da 12 anni abbiamo uno sportello anti sfruttamento”. Ma per alcuni lavoratori sfruttati non è così semplice: “Se denunci perdi il lavoro e il permesso di soggiorno”.
Tra i lavoratori condannati all’irregolarità c’erano quelli dell’azienda cinese “Pelletteria Serena" che confezionavano borse di lusso per un’importante casa di moda francese. “Per 15 ore al giorno prendevo 850 euro al mese – dice uno degli operai sfruttati –. Una volta dovevo tagliare un piccolo pezzo di pellame, la proprietaria mi ha detto che non andava bene e mi ha dato un pugno. Un mio amico è stato frustato con una cinta”. A commissionare alla pelletteria cinese le costose borse era la Effebi, un'importante azienda specializzata nella realizzazione di borse per l’alta moda.
Sotto indagine sono finiti anche due soci, accusati di essere a conoscenza della modalità di sfruttamento.