Strage alla discoteca gay di Orlando, il killer perfetto, quello che ogni gruppo terrorista desidera. Musulmano d’origine, violento e con un padre filo-talebano. Cresciuto in quell’America anti-abortista, anti-gay, anti-tutto, ma a favore delle armi. Omar Mateen era conosciuto dall’Fbi, sotto osservazione per ben due volte, nel 2013 e nel 2014, per due volte l’ha fatta franca. Era vicino ad ambienti estremisti eppure di fare la guardia giurata non ha mai smesso. Sembra un deja-vu. Omar è una copia degli attentatori di Parigi e Bruxelles, Omar è come Salah, Ibrahim, Najim, ragazzi normali, cresciuti tra noi, pronti a morire per la fede o per un credo. Il Pulse di Orlando è come il Bataclan di Parigi, di diverso solo il numero delle vittime: 50 morti oggi, 120 allora. Cani sciolti, lupi solitari che vogliono ripulire il mondo da chi non è come loro. L’Agenzia dello Stato islamico, Amaq News, rivendica l’attentato: “Era uno di noi”. A spaventarci è però la consapevolezza che non esiste l’identikit del terrorista perché Omar era anche uno come noi. Un ragazzo di 29 anni, con una casa e una vita all’occidentale, jeans e t-shirt. Così mentre tutti gli occhi sono ora puntati sugli Europei, ci si chiede se i 90mila agenti schierati basteranno per difenderci da quei nostri vicini di casa che all’improvviso giurano fedeltà al Califfato. Scudi anti-droni e agenti anti-terrorismo non ci proteggono dalla follia, che si tratti di un bianco e biondo filonazista, di un foreign fighter o di un infiltrato a bordo di un barcone. Omar era solo un afghano armato per professione divenuto killer per vocazione. Appartiene all’Isis, dicono, forse perché affiliato, di certo perché disumano. Ha scelto i bersagli giusti, gli stessi nemici dello Stato Islamico: noi.