Abbiamo visto e rivisto le immagini dell'omicidio dell'ambasciatore russo in Turchia: i colpi, le urla, la morte in diretta. Eppure, il momento più sconvolgente non è il più violento. L'ha colto Burhan Ozbilici, il fotografo dell'Ap. Per documentare la scena, ha rischiato la vita. Tuttavia, la sua foto più enigmatica è la meno temeraria. È quella scattata prima che tutto accadesse, quando l'assassino era ancora un poliziotto e la vittima un rappresentante della federazione russa ad Ankara. Roland Barthes diceva che nelle fotografie che ci provocano "un'agitazione interiore" c'è sempre un elemento che ci sconvolge: è il punctum, un piccolo dettaglio che ci folgora. Spesso, è ripreso involontariamente dal fotografo. E, infatti, non è la prova della sua bravura. È solo la prova che egli fosse lì. Ed eccolo il killer, vestito come un personaggio delle Iene di Quentin Tarantino. Appare dietro le spalle. Come nei film di Hitchcock entra in scena la volontà omicida. Dovrebbe esser lì per proteggere la vittima. Invece, si trasforma - come nel Giulio Cesare di Shakespeare - nel Bruto che lo tradisce. Siamo in una mostra fotografica. E, per un attimo, si può pensare che si tratti di un performance artistica. Una messa in scena dell'assurdo. Una provocazione di Alessandro Cattelan. Al contrario, siamo nell'archetipo. È l'ombra che tende l'agguato. È l'angelo custode che trasfigura nel demoniaco. E chissà se – d'ora in poi – riusciremo a guardare una guardia del corpo senza pensare che, da un momento all'altro, potrebbe uccidere l'uomo che sta difendendo. (N. Mirenzi)